domenica 8 maggio 2011

ha spinto mia madre il portale scolpito, aggrappandosi al ferro battuto della maniglia, e subito l'incenso ha colmato la pelle e ci siamo immerse nella calma sonora dei luoghi di culto, vuoti. Perché solo da vuoti sanno parlare al santuario edificato nel cuore da giorni e giorni di gioie e tormenti mentre tutti i santi e i beati e anche quelli assassinati e solo dopo beatificati dal rimorso dei loro eredi, ci guardano attoniti con i loro volti di gesso, colorati dalla devozione popolare mentre insetti assonnati imprimono sul marmo un segno di mistero ancestrale. Io non credo nella barba di dio che giudica dalle nuvole grondanti pioggia, io non guardo e non ascolto messe che mentono promesse e giudizi universali, io accompagno mia madre in un pellegrinaggio segreto in un piccolo luogo antico, pieno di madonne adombrate dal cappuccio sugli occhi o sfolgoranti in un sorriso di fuggitiva speranza, traboccante silenzio. Accendiamo 5 candele, una per ogni donna di famiglia, quelle viventi, che quelle viventi altrove hanno il loro daffare a tenerle luminose per noi che ci perdiamo ad ogni ombra di passo; poi lei prega silenziosa nel banco stretto e io guardo... e tutte le volte, ma proprio tutte che quasi ne provo timore e tremore, sanguino commossa dentro, proprio nell'incrocio dei venti che spazzano i bronchi e i polmoni, esattamente lì, dove le vene esplodono nel petto suoni dallo spazio abbagliante, come se tutto, esattamente tutto in quell'attimo ampio prendesse, per l'ultima volta, un senso.

Marina Coli

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