domenica 2 marzo 2003

Essere riconoscibile come appartenente ad un gruppo, una tifoseria, un partito politico o quant’altro, è una cosa che, spesso, noi stessi vogliamo ma che succede quando non lo vogliamo, quando non sentiamo l’appartenenza o, comunque, rifiutiamo l’etichettatura? Basta chiederlo ad un ebreo o a un negro, ma anche a un pacifista o a un immigrato possibilmente albanese ma anche a un giovane o a un vecchio, o anche semplicemente a un uomo o a una donna.

Il nostro procedere per schemi ci semplifica le cose ma ci fa spesso dimenticare che oltre lo schema stesso c’è qualcuno in carne e ossa, che suda, mangia, sogna, russa e caca come noi. Qualcuno che merita forse un po’ più della nostra sufficienza, verso il quale dovremmo avere rispetto per la sua dignità e il suo “essere”, spesso, diverso dal nostro.

[da l'Agorà]



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